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Frate Elia - Lumen Luminum

Copertina del libro
€ 23,00
Versione stampata

Il Lumen luminum ad Fredericum Imperatorem, attribuito a Frate Elia, è una rielaborazione originale del più noto Lumen luminum di Ab? Bakr Mu?ammad ibn Zakariyy? al-R?z?, conosciuto nel Medioevo con il nome di Rasis, autore di origine persiana del X secolo, o di Aristotele secondo altri manoscritti, attribuzione per altro poco verosimile. FRATE ELIA LUMEN LUMINUM AD FREDERICUM IMPERATOREM A cura di Paolo Galiano Prefazione di Paolo Capitanucci con un saggio di Lorenzo Manenti su Alchimia e Controriforma Summetria collana di studi e ricerche sulle tradizioni spirituali Collana ErmEtismo, AlchimiA, KAbAllAh E Gnosi PAolo GAliAno (Roma 1946) Studioso e ricercatore indipendente, collabora- tore del Centro Studi Simmetria (ora Simmetria Institute), è membro della Direzione scientifica della Fondazione Lanzi. Ha pubblicato articoli e saggi su diversi aspetti delle Tradizioni classiche, quali l’Egitto fara- onico, Roma arcaica, l’Ermetismo massonico, la Gnosi cristiana, la Cavalleria medievale e il simbolismo dell’architettura sacra. Ha collabo- rato con la Prof.ssa Anna Maria Partini per la pubblicazione di due testi su Frate Elia. Dal 2016 si è dedicato a studi di Storia dell’Al- chimia medievale con la trascrizione e tradu- zione da manoscritti originali di trattati quali lo Speculum alchimiae e il Vademecum attribuiti a Frate Elia, il Pretiosissimum donum Dei, il De leone viride di Raimondo Gaufredi e il Dialogo di Morieno e re Khalid di Morieno Romano. LORENZO MANENTI (Napoli 1973) Docente di Materie Letterarie negli Istituti Su- periori e Archivista-Paleografo. È stato borsista dell’Istituto Italiano Studi Filosofici di Napoli e Collaboratore a Progetto per il Dipartimento di Storia dell’Università di Siena. Frequenta il Dottorato in Scienze della Comunicazione presso l’Università della Svizzera Italiana con una tesi sul profetismo nell’antica Repubblica di Siena, sotto la supervisione del prof. Maurizio Viroli. È membro del Comitato scientifico nel Comune di Jesi per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Ha pubblicato una monografia e numerosi saggi su riviste di carattere interna- zionale intorno alla storia della cultura in età moderna, con particolare riferimento alla storia religiosa. In copertina: Hieronymus Brunschwig, Liber de arte distillandi de compositis, tipografia Johann Grüninger, Strassburg 1512, p. 93r (National Library of Medicine, Bethesda, Maryland, USA). Gli scritti a lui attribuibili con relativa certezza sono quelli concernenti la guida dell’Ordine; molto più numerosi i testi di natura alchemica che dal ‘400 fino al ‘700 ci sono giunti con il suo nome, sui quali non sono mai stati condotti studi filologici che possano confermare o meno la tradizione che li ritiene opere di sua mano. Se questo fosse confermato, allora sarebbe possibile vedere in lui il fondatore o comunque il capostipite di una vera e propria schola al- chemica francescana operante nel Convento di Assisi della quale furono partecipi alchimisti come Bonaventura d’Iseo (Liber compostille), Paolo di Taranto (Theorica et practica), Rai- mondo Gaufredi (De leone viridi) e Giovanni da Rupescissa (De quinta essentia). Il trattato è un testo di Alchimia spagirica in forma di «ricettario», molto differente dalle opere attribuite a Frate Elia, nelle quali è possibile indi- viduare precise indicazioni di Alchimia sapienziale in linea con quelle di autori coevi, in particolare i suoi confratelli alchimisti. Proprio per questa insolita particolarità si potrebbe presumere che esso sia stato scritto per rendere omaggio a Federico II, di cui è noto l’inesauribile desiderio di conoscenza di tutte le arti note al suo tempo, il grande Imperatore che fu definito dai suoi contemporanei lo stupor mundi non solo per motivi poli- tici ma anche per aver organizzato la sua corte come un centro di cultura e di studio di alto rilievo, superando i limiti di razza e di religione propri dell’epoca medievale (e non solo medievale...). Inoltre la data del manoscritto qui trascritto, inizio del sec. XVII, pone un interrogativo: come mai il nome di un frate scomparso alla metà del ‘200 era ancora adoperato dopo quattro secoli per dare una patente di autorevolezza a un testo alchemico? Forse Elia non era estraneo, come alcuni vorrebbero, alla conoscenza e alla pratica dell’Alchimia ma era ben conosciuto nell’ambiente alchemico per le sue opere, che per motivi diversi non sono giunte fino a noi nei manoscritti a lui contemporanei.

F.to 15x21, pp. 220, Brossura Filo refe