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SETTANTANOVE OPERE

In occasione dell'esposizione alla Sala Birolli del Comune di Verona nel febbraio del 2017

Copertina del libro
€ 13,00
Versione stampata

Stefano Mastrocinque, questo giovane e promettente artista, è vene-ziano, come lo sono io: ed è questa una delle ragioni forse la principale, che mi hanno spinto a dedicargli qualche riflessione. “L’opera”, è stato scritto, “nasce sempre legata al luogo dove è prodotta” (M. G. Messina, Venezia anni cinquanta: il turbamento della pittura, Venezia 1950-1959, p. 19). Il giovane Stefano, nei risultati pittorici più riusciti, applica la propria ricerca ai tre elementi storicamente dominanti nell’arte veneziana: allo spazio, alla luce e al tempo, all’interno della natura e del paesaggio veneziano; il tutto si traduce in colore, in forme nitide, in atmosfera, insomma. E nel suo approccio pittorico, ancora incerto sulla via da seguire, Stefano incarna, forse inconsapevolmente, il dibattito culturale che investe Venezia nel primo dopoguerra. Una Venezia non toccata dai bombardamenti, dove s’era rifugiata una folta schiera d’artisti e letterati di prim’ordine: basti pensare a Massimo Bontempelli, Umberto Saba, Neri Pozza, Filippo de Pisis, Virgilio Guidi, Arturo Martini, il giovane Alberto Viani… Gli artisti di questo calibro – ne ho citato solo qualcuno – fanno di Venezia una vera fucina di idee e di sperimentazioni, vòlta a superare il mondo tradizionale e di maniera della veduta d’atmosfera (da Candiani a Dalla Zorza, a Eugenio da Venezia, allo stesso De Pisis, etc. etc.), e ad aprire la città all’Europa, dopo la parentesi del fascismo: mi riferisco in modo particolare allo spazialismo del cosiddetto “Fronte nuovo”, che vede in Luciano Fontana il più illustre rappresentante e all’astrattismo in ogni sua forma, e che ha in Peggy Guggenheim il mecenate di ogni forma di avanguardia. Questo per dire che alcune opere di Stefano si collocano in codesto scenario: vedi la n. 58, Dodecagono azzurro, o la n. 59, Dodecagono in rosso, e ancora la n. 57, ironica citazione del cubo di Rubik, e quindi la n. 47, Anatomia del cubo, assai vicina, nella astratta e geometrica composizione, ad alcune tele di Lucio Saffaro. Ma sono i pae-saggi veneziani che mi hanno conquistato, che s’inseriscono appieno nella tradizione pittorica del paesaggio quale ci è data da innumerevoli opere: isolerei in questa vasta produzione un primo nucleo di tele di particolare suggestione, in cui la forza discreta del colore e la nitidezza del paesaggio s’accompagnano al vero protagonista: il silenzio. Non per nulla, il primo dei quadri esibiti, il n. 1, ha per titolo Silenzio della città, e ancora vanno ricordati il n. 2, il suggestivo Silenzio in canal Salso, e il n. 3, Scorcio dietro casa a Mestre…, e ancora il n. 31, Nuove case a Cannaregio. Da notare come Stefano rifugga dalla Venezia turistica, da Piazza San Marco o dal Palazzo Ducale, per rifugiarsi in luoghi desueti, silenziosi, di una Laguna dove non arriva il vocìo dei turisti, e dove domina il silenzio, che acquieta la sua fragile e solitaria natura: silenzio che ritroviamo nel n. 9, Silenzio della montagna, dove l’uomo è assente (come in tutte le sue composizioni), e l’unico richiamo alla civiltà è costituito da un solitario pilone dell’energia elettrica. Sulla stessa linea si collocano alcune suggestive vedute della Basilicata. Infine c’è un’altra Venezia nel cuore e nel pennello di Stefano: la Venezia della passione e dello Sturm und Drang, in cui i colori si fanno accesi, il mare mosso, i cieli lividi: così, la città di Mestre dello Scorcio dietro casa lascia luogo a una Mestre luciferina; vedi n. 8. Temporale su Mestre, e soprattutto il n. 14, dove campeggia una livida Mestre di notte, o il n. 4. Isola di San Secondo sotto il temporale, e quindi il n. 5, Maltempo in laguna. San Giuliano. Colpisce anche, e inquieta, la Venezia illuminata dalla luce gialla del flash del n. 21, Tramonto giallo a Venezia. Ma vorrei concludere con due opere, per me forse le più belle: la 6. Alba in laguna, dai pastosi colori materici, e la veduta n. 7, San Pietro di Castello, che ricorda certe Venezie di Renato Borsato; la veduta, vista dall’acqua di un azzurro intenso, sembra già prossima a disfarsi nell’astrazione pura, forse la prossima tappa di un per-corso ancora in fieri. Non ho altro da dire, se non che Stefano mi ha veramente emozionato (dalla prefazione di Francesco Donadi - Università di Verona)

F.to 17x24, Brossura filo refe, pp. 92, Ill. a colori