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Materiali e contesti 1. Valle del Colosseo e pendici nord-orientali del Palatino - Dopo lo scavo 1

Copertina del libro
€ 35,00
Versione stampata

Questo volume e quelli che seguiranno inaugurano la collana “Dopo lo scavo” della Casa Editrice Scienze e lettere dal 1919 s.r.l. e costituiscono l’esito del progetto “Investire sul capitale umano: dalla formazione all’inserimento professionale nel campo dei Beni Culturali” finanziato della Fondazione Cariplo nel 2012. L’iniziativa si inserisce nel più ampio programma di pubblicazione dello scavo della Sapienza-Università di Roma nella valle del Colosseo e sul Pa-latino nord-orientale, secondo una logica che mira a presentare in modo sintetico i risultati delle tesi di laurea e di diploma di specializzazione e di dottorato degli studenti ed allievi che hanno partecipato allo scavo e che nel corso di questi ultimi anni hanno studiato le stratigrafie e i contesti riportati in luce. Il percorso che abbiamo intrapreso nasce da una serie di considerazioni. L’insegnamento di Metodologia e tecniche della ricerca archeologica della Sa-pienza ha come fine istituzionale la didattica, ripartita in lezioni frontali e stages di scavo archeologico che si svolgono sulle pendici nord-orientali del Palatino a Roma. L’area di indagine, che rientra nel Parco Archeologico del Foro Romano/Palatino, è data in concessione al Dipartimento di Scienze dell’Antichità da parte del Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali (fig. 1). Su questo eccezionale parterre archeologico e monumentale annualmente viene offerta la possibilità di svolgere attività sul campo agli studenti di archeologia iscritti alla Sapienza e a studenti di altre università italiane e straniere che ne fanno richiesta. Nel cantiere didattico lo studente impara tutte le procedure necessarie a condurre uno scavo secondo metodi scientifici e viene quindi messo in grado di intervenire in futuro autonomamente su qualunque cantiere archeologico. L’attività di scavo, però, non è mai fine a se stessa e non si esaurisce con le operazioni sul campo. Spesso lo scavo viene paragonato ad un paziente che subisce un intervento chirurgico: che cosa si direbbe se il medico, dopo un intervento riuscito, non suturasse le ferite? Il passaggio successivo, quello dal quale dipende il vero successo dell’operazione archeologica, consiste infatti, come in ogni campo del sapere, nell’elaborazione dei dati e nello studio dei reperti. Lo studio crea, inoltre, i presupposti per indirizzare le indagini successive. In questo processo sono coinvolti gli studenti e gli allievi più interessati e più capaci, che vogliono concludere il loro percorso formativo con l’interpretazione delle stratificazioni che hanno contribuito a “smontare”. Il passo finale, in assenza del quale anche una grande impresa può defi-nirsi una sconfitta, consiste nel comunicare i risultati del lavoro, sia in ambito scientifico sia nell’ambito di una divulgazione di buon livello. È questo il solo modo attraverso il quale il patrimonio culturale del nostro Paese può essere restituito al pubblico. L’uso pubblico della storia, e non una ricerca autoreferenziale, rappresenta dunque l’obbiettivo delle nostre ricerche. Ma con le tesi di laurea o di diploma l’università esaurisce il suo compito formativo. I passaggi successivi attengono alla ricerca. L’istituzione universitaria provvede dunque alla formazione di base per tutti gli studenti iscritti, riesce per i più meritevoli a fornire strumenti utili alla loro formazione, ma non riesce a sostenere, a causa del progressivo definanziamento della ricerca scientifica in Italia, la continuità nella ricerca per quanti si sono distinti per le loro capacità. Per questi motivi abbiamo richiesto ed ottenuto nel 2012 dalla Fonda-zione Cariplo l’attivazione di borse di studio/premi di laurea che hanno valoriz-zato i nostri percorsi formativi. Inoltre, ed è questa la cosa più importante, la ricerca e la comunicazione in tempi brevi dei suoi risultati sono requisiti essenziali anche per l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani che fin qui ci hanno seguito. Allo studente, ormai divenuto studioso, speriamo che si apra in questo modo la strada delle diverse professioni previste nel panorama dei Beni Culturali. In questo primo volume, a differenza degli altri in preparazione, ben poco spazio è riservato ai reperti mobili. I cinque studi presentati approfondiscono, come si vedrà in sintesi, temi diversi che hanno impegnato a lungo i nostri allievi ed ex allievi: il risultato finale è per noi fonte di grande soddisfazione. Nel primo contributo Silvia Fortunati prende in esame due importanti insiemi di intonaci dipinti databili in età neroniano/flavia, rinvenuti in un settore della terrazza neroniana costruita dopo l’incendio del 64 tra lo stagnum della Domus Aurea e la pendice nord-orientale del Palatino. Nel quadro della produzione urbana di questo periodo, ancora poco nota rispetto a quella pompeiana, le decorazioni pittoriche analizzate, riferibili probabilmente allo stesso complesso neroniano (nel primo caso a pareti di vani secondari, nel secondo al soffitto di un ambiente di maggiore importanza) rivestono un notevole interesse. Quattro dei cinque contributi di questo volume riguardano le “Terme di Elagabalo”. Qui le indagini, iniziate nel 2007, sono quasi concluse: la prossima campagna (settembre-ottobre 2013) vedrà la fine degli interventi archeologici su vasta scala, mentre i restauri sono già stati avviati. Come è noto la definizione “Terme di Elagabalo”, ormai entrata nella letteratura archeologica ma del tutto superata e fuorviante, si riferisce non ad uno ma a due complessi di epoche diverse: un edificio a cortile con ambienti in laterizi su tre lati, addossato in età severiana al fronte delle sostruzioni nord-orientali del Palatino e un balneum ricavato nel IV secolo tra i vani occidentali del complesso severiano. Lino Traini prende in esame una struttura particolare anche per l’ec-cezionalità delle dimensioni, che non ha trovato finora riscontri archeologici: una grande vasca messa in opera nel momento in cui, realizzate le sostruzioni severiane, si iniziò a costruire l’edificio a cortile che a queste doveva addossarsi. La vasca serviva probabilmente in primo luogo a contenere le grandi quantità di acqua necessarie al cantiere severiano, ma l’autore non esclude che possa essere stata usata anche per la lavorazione della calce, e di questa analizza il ciclo produttivo. Particolare e assolutamente ben definito nel tempo è anche il riempimento della vasca, brevemente analizzato da Giovanni Mannelli, effettuato quasi esclusivamente con le anfore utilizzate per trasportare acqua e calce nell’ambito del grande cantiere, poi gettate nell’invaso nel momento in cui questo fu coperto dal pavimento a mosaico del corridoio previsto in questa parte dell’edificio. I tre articoli che seguono si concentrano sulle fasi tardoantiche del complesso severiano, che nella parte occidentale vede in questo periodo il suo sviluppo più articolato e monumentale. Il contributo di Cecilia Giorgi descrive il balneum che occupa con i suoi ambienti principali i tre vani occidentali dell’edificio severiano e ne analizza servizi, accessi e percorsi. La seconda parte del lavoro è riservata alla realizza-zione del rilievo mediante laser scanner di ultima generazione per la creazione di un modello tridimensionale a nuvola di punti, dal quale si sono potuti ricavare prospetti, sezioni architettoniche e planimetrie. Lo spazio più caratterizzante dell’intero impianto tardoantico – una sorta di aula cruciforme, con grande abside dotata di stibadium alla quale si affiancano due ambienti rettangolari, tutti gravitanti su un’ampia area quadrangolare con prospetto colonnato – viene analizzato nel lavoro di Giovanni Caratelli, che rende finalmente giustizia ad un complesso di estremo interesse e quasi unico nel suo genere, mai studiato nel suo insieme come avrebbe meritato. Nel saggio si approfondisce, tra l’altro, il funzionamento dello stibadium, che per la presenza di un getto d’acqua al centro appartiene ad un tipo molto raro (stibadium-fontana). L’ultima campagna di scavo (2012) ha rivelato una fase più antica rispetto a quella descritta da Caratelli, nella quale lo stibadium non doveva essere provvisto di questo dispositivo, mentre l’area quadrangolare antistante, pavimentata con grandi lastre marmoree e dotata di tombini collegati a una fogna adrianea ancora in funzione, fungeva da grande vasca. Il complesso con stibadium è reso ancora più “intrigante” dalla presenza di un pozzo nel quale, ad una certa profondità, è inserito un particolare dolio, accessibile attraverso una lunga scala il cui ingresso è posto all’esterno dello spazio cruciforme, nell’area del grande cortile. Il pozzo risale all’età repubblicana, ma è riusato nell’ambito dello spazio conviviale in epoca tardoantica, poiché a questo periodo risalgono l’inserimento del dolio e la costruzione della scala. Come si può immaginare le ipotesi sul significato di questo ancora misterioso dispositivo sono state molte. Giulia Giovanetti ne avanza una che le offre lo spunto per un’ampia disamina delle fonti scritte e delle testimonianze archeologiche relative all’uso, alla conservazione e al commercio della neve e del ghiaccio dall’antichità all’età moderna. (Clementina Panella - Lucia Saguì)

INDICE

PRESENTAZIONE di Clementina Panella e Lucia Saguì
INTONACI DIPINTI DALLA TERRAZZA NERONIANO/FLAVIA: PROPOSTE RICOSTRUTTIVE DELLA DECORAZIONE PITTORICA di Silvia Fortunati
“TERME DI ELAGABALO”: UNA VASCA REALIZZATA IN FUNZIONE DEL CANTIERE SEVERIANO di Lino Traini e Giovanni Mannelli
“TERME DI ELAGABALO”. IL BALNEUM TARDOANTICO: STUDIO ARCHEOLOGICO E RILIEVO 3D di Cecilia Giorgi
L’AULA “CRUCIFORME” E LO STIBADIUM DELLE “TERME DI ELAGABALO” di Giovanni Caratelli “TERME DI ELAGABALO”. L’USO DELLA NEVE E DEL GHIACCIO NEL MONDO ANTICO E UN’ULTERIORE IPOTESI SULLA FUNZIONE DI UN POZZO NELLA COENATIO TARDOANTICA di Giulia Giovanetti


LE CURATRICI
Clementina Panella è professore ordinario di Metodologia e tecniche della ricerca archeologica presso la Sapienza-Università di Roma. È stata Direttrice del Dipartimento di Scienze Storiche Archeologiche Antropologiche della Sapienza (2003-2006); è oggi Direttrice del Master di II livello interfacoltà “Architettura per l’Archeologia”. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la topografia, l’urbanistica, la cultura artistica, la cultura mate-riale delle città e dei territori del mondo antico, la storia delle pro-duzioni artigianali e del loro commercio mediterraneo dall’età classica all’età tardo-antica con particolare riferimento alla geo-grafia delle produzioni, ai modi della produzione e della distri-buzione e ai modelli economici, le metodologie di approccio ai siti archeologici pluristratificati. Ha diretto importanti indagini sul campo in Italia e all’estero (Ostia, Terme del Nuotatore; Cartagine, Centuria A; Roma, Porticus Liviae sul colle Oppio e Area della Meta Sudans in Piazza del Colosseo). Attualmente dirige lo scavo delle pendici nord-orientali del Palatino. Ha pubblicato, tra l’altro, Merci e scambi nel Mediterraneo in età tardoantica (Storia di Roma Einaudi, 1993), Meta Sudans I. Un’area sacra in Palatio e la valle del Colosseo prima e dopo Nerone (1996), Arco di Costantino. Tra archeologia e archeometria (con P. Pensabene, 1999), Domus e insulae in Palatio. Ricerche e scoperte sul Palatino nord-orientale (Scienze dell’Antichità, 2006), Roma, il suburbio e l’Italia in età medio- e tardo-repubblicana: cultura materiale, territori, economie (Facta, 2010), I Segni del Potere. Realtà e immaginario della sovranità nella Roma imperiale (2011), Scavare nel centro di Roma. Storie Uomini Paesaggi (2013).

Lucia Saguì è ricercatrice del Dipartimento di Scienze dell’An-tichità (Sapienza Università di Roma). I suoi principali interessi scientifici sono legati alle esperienze maturate in grandi scavi, tra i quali Cartagine, Ostia Antica, Sette-finestre, Roma (Crypta Balbi e pendici nord-orientali del Palatino). Da questi e da altri contesti archeologici prendono spunto i suoi studi sulle produzioni artigianali di età romana e altomedievale. Con particolare riguardo per la ceramica e il vetro, tali studi approfondiscono aspetti metodologici, tipologici, tecnologici, storico-artistici e storico-economici. Dalle esperienze di archeologia urbana (in particolare L. Saguì, L. Paroli, eds., Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi 5. L’esedra della Crypta Balbi nel medioevo, XI-XV secolo, Firenze 1990) derivano lavori di carattere più prettamente metodologico, quali l’interpretazione delle sequenze stratigrafiche e i criteri di edizione e di musealizzazione degli scavi e dei reperti. Ha fatto parte di comitati scientifici per la realizzazione di Musei (primo tra tutti quello della Crypta Balbi), Mostre, Convegni (in particolare quello in onore di J.W. Hayes, Roma 1995: L. Saguì, ed., Ceramica in Italia: VI-VII secolo, Firenze 1998) e per la sele-zione di saggi archeologici. Ha coordinato diversi gruppi di lavoro sui vetri della Collezione Gorga, ai quali ha dedicato una Mostra (Storie al caleidoscopio. I vetri della collezione Gorga: un patrimonio ritrovato, Università di Roma “La Sapienza” 1998) e numerosi contributi scientifici.

F.to 17x24, Brossura, pp. 152, Ill. a colori e B/N