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Garibaldi e i suoi tempi. Immagini dei protagonisti

Copertina del libro
Immagine copertina del libro Immagine copertina del libro
€ 35,00
Versione stampata

F.to 21x30, 288 pp., carta pregiata, circa 500 foto d'epoca, alcune inedite
Indice
Note non rituali per una mostra garibaldina Introduzione - Domenico Scacchi
Prefazione - Annita Garibaldi Jallet
Cenni sulla documentazione del periodo della Seconda restaurazione (1814-1870) conservata nell’Archivio Storico Comunale di Tivoli - Mario Marino
I due passaggi di Garibaldi a Tivoli nel 1849. Lo scontro di Mentana nel 1867 - Amedeo Ciotti
Storia di un panorama perduto e di un clamoroso equivoco. Garibaldi il 3 giugno a Porta San Pancrazio - Alessandro Cartocci
Entusiasmo garibaldino e irresolutezze politiche - Alcibiade Boratto
La fotografia nel Risorgimento - Michael G. Jacob
Garibaldi a cavallo nella foto di Alessandro Duroni eseguita a Cremona nel 1862 - Carmelo Calci e Leandro Mais
Il Risorgimento nelle medaglie militari - Massimiliano Munzi
Catalogo - Carmelo Calci

Introduzione

L’occasione delle celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi ha rappresentato un nuovo potente fattore di consolidamento del mito dell’Eroe dei due Mondi. Era del resto inevitabile, visto che la figura del grande Nizzardo ha finito per segnare non solo l’epopea risorgimentale, ma è andata ben aldilà intrecciandosi strettamente con le successive vicende politiche della nazione italiana anche durante tutto il XX secolo. Un mito robusto di cui sono testimonianza i numerosi nuovi studi apparsi recentemente, così come i convegni e le mostre che hanno coinvolto non solo il mondo accademico in Italia e nel Mondo, ma anche le istituzioni a tutti i livelli, fino alle piccole comunità, segno di un sentimento di affetto e riconoscenza profondi per l’uomo del popolo che impegnò tutto se stesso nelle battaglie per l’indipendenza e l’unità degli italiani.
Garibaldi uomo del popolo e per il popolo. È forse proprio questa la motivazione più profonda della sua immensa popolarità che, certo, non fu «inventata », come sembrerebbe suggerirci il titolo sicuramente poco felice della recente fatica della studiosa anglosassone Lucy Riall1. Certamente Garibaldi mostrò una grande contemporaneità nel sapiente uso della propaganda resa possibile dall’enorme sviluppo di strumenti come la stampa e la fotografia. E se sicuramente i media allora disponibili non lesinarono sforzi per esaltarne le gesta e tributarne una fama pressoché mondiale, tale fama non era certo usurpata, perché sostanziata dai fatti e fortemente ancorata ai grandi ideali di cui il nostro Eroe nel corso della sua vita si fece interprete.
D’altra parte il tema del mito di Garibaldi ha avuto un grande sviluppo nel dibattito storiografico anche se la riflessione si è maggiormente soffermata sull’uomo e le sue gesta, mentre appare sempre più pressante l’esigenza di sviluppare indagini più mirate per comprendere il senso che il movimento che ha accompagnato e sostenuto le imprese dell’Eroe dei due Mondi, il garibaldinismo, per intenderci, ha avuto nella storia italiana dopo la scomparsa del suo Duce. Se Garibaldi poteva gestire con una certa tranquillità anche gli aspetti più evidentemente contraddittori del suo pensiero, alla sua morte si sviluppava immediatamente una vivace lotta tesa a rivendicare l’eredità politica dell’Eroe, con il risultato di un obiettivo indebolimento del movimento garibaldino. Le varie componenti finirono per scontrarsi sui temi del parlamentarismo, della repubblica, della massoneria, per limitarci ai più rilevanti, e gli echi di quelle differenziazioni accompagneranno i momenti più salienti della vicenda politica italiana praticamente sino ai nostri giorni.
Non è certamente questa la sede per avventurarsi in interpretazioni definitive sul ruolo del garibaldinismo nella nostra storia patria, ma è sembrato opportuno accennare al tema perché la realizzazione della mostra e la pubblicazione di questo catalogo possono rappresentare un prezioso contributo in quella direzione. Molte sono, infatti, le novità di un evento che, anche nel suo essere momento celebrativo, non intende sottrarsi all’obbligo di offrire spunti preziosi, sia pure nella forma di sole immagini, indicativi di nuovi percorsi e strumenti di ricerca. E non mi riferisco, ovviamente, al fatto in sé della fotografia come fonte di ricerca, perché non si tratta certo di una novità. Ma, qui, un primo punto di forza è rappresentato dal fatto che le fotografie che compongono la mostra provengono quasi esclusivamente da collezioni private e, in particolare, dal paziente lavoro di ricerca di tre collezionisti: Carmelo Calci, Leandro Mais e Michael George Jacob.
Già questo è un fatto decisivo perché, come ho potuto anche personalmente constatare nel fecondo rapporto stabilito proprio con Carmelo Calci, il collezionista non è solo innamorato della fotografia che è riuscito a conquistarsi. Per lui quella fotografia rappresenta un essere vivente. Egli la studia, ne cerca i nessi con altre fonti, ne conosce e ne svela tutti i particolari, ne scopre l’autore, la data e il luogo dello «scatto», le riproduzioni e le varianti esistenti, le vere e proprie falsificazioni. Il carattere non istituzionale del suo impegno, poi, lo porta più facilmente a nuove scoperte, a fotografie che ne spiegano altre difficilmente decifrabili. Non a caso, ad esempio, Calci e Mais erano già riusciti a fare chiarezza su una foto di Garibaldi a cavallo, da sempre considerata scattata a Palermo nel 1860. L’attenta analisi dell’immagine e pazienti sopralluoghi hanno consentito ai due infaticabili indagatori di accertare intanto che il cavallo, sia pure bianco, non è la mitica Marsala regalata all’Eroe dei due Mondi che se ne servì durante la sua campagna di conquista del regno borbonico. Soprattutto, però, essi sono riusciti ad individuare il luogo (Cremona nel cortile di palazzo Trecchi) e la data dello scatto (8 aprile 1862).
Certo non è facile che dei collezionisti arrivino a possedere un numero tale di fotografie da reggere l’articolazione di una mostra con un soggetto così importante com’è in questo caso. Ma quando vi riescono il risultato è sicuramente di rilievo e non è certamente limitato da qualche possibile «vuoto» che pure si potrebbe avvertire, perché esso, aldilà di rare e non significative eccezioni, è dovuto alla scelta di attenersi strettamente al materiale proveniente da raccolte private.
Un altro punto di forza della mostra e di questo catalogo è rappresentato dal fatto che le fotografie di Giuseppe Garibaldi sono poste all’interno di un percorso iconografico che evidenzia in modo ampio il contesto in cui il nostro eroe si mosse, a partire dalla famiglia di provenienza e includendo gli eredi con le loro mogli e i mariti, i loro figli. Ma non solo, risulta infatti sicuramente efficace la scelta di mostrarci anche gli «amici» e i «nemici» politici e militari del Nizzardo, i suoi più stretti collaboratori, i suoi volontari, i luoghi delle battaglie, Caprera, insomma il suo mondo.
Una sequenza di foto che, oltre alle gerarchie dello Stato della Chiesa, mette a confronto i ritratti delle famiglie reali e imperiali contro le quali Garibaldi si trovò a combattere, e quelle che lo sostennero direttamente, come i Savoia, ma anche i sovrani e gli uomini di governo di britannici, così come quelli degli Stati Uniti d’America.
Come si può vedere già questa rappresentazione è indicativa di come il Nizzardo si fosse trovato ad operare in un contesto che lo mise più o meno indirettamente in contatto con le realtà più significative della scena mondiale. E in questo contesto, nel quale si andava dipanando il percorso di un processo di modernizzazione economica sociale e politica, l’accostamento dei «nemici» e degli «amici» di Garibaldi esemplifica chiaramente come egli si sia posto sempre in modo netto dalla parte più avanzata. Non a caso nella famosa scelta di non prendere parte alla guerra di secessione in corso negli Stati Uniti ebbe un ruolo decisivo il fatto che la posizione di Lincoln sullo schiavismo non fosse, a suo avviso, chiaramente abolizionista.
La posizione di Giuseppe Garibaldi su questo punto era, infatti, molto netta. Gli era già accaduto proprio nel 1850, quando risiedeva a New York ospite di Meucci (le cui foto sono giustamente presenti in questa mostra) di declinare l’invito a prendere parte ai primi movimenti anticoloniali a Cuba. Se nell’occasione la posizione del nostro Eroe era dettata anche da altre importanti motivazioni, come l’attesa per l’evoluzione della situazione nella penisola italiana e la necessità di provvedere al mantenimento suo e della famiglia, senza dubbio aveva influito anche il fatto che gli indipendentisti cubani non avevano allora ancora posto tra i loro obiettivi quello di abolire la schiavitù, largamente presente nell’isola caraibica.
Allo stesso modo, quando l’emissario del presidente statunitense era giunto appositamente a Caprera nel settembre del 1861 per coinvolgere Garibaldi nel conflitto secessionista, il nostro aveva posto due condizioni: il comando generale dell’esercito del Nord e una dichiarazione netta sull’abolizione della schiavitù4. Se sulla prima richiesta il rappresentante nordamericano poteva offrire una soluzione tutto sommato accettabile con la proposta di un comando di divisione dotato di ampia autonomia, sul secondo punto la condizione posta dal generale italiano rimaneva inevasa determinando il suo definitivo rifiuto. Certo, tale posizione derivava anche da altre non secondarie considerazioni, come le problematiche ancora aperte all’indomani dell’Unità italiana, in particolare la questione del Veneto e quella di Roma. Tuttavia va rilevato che comunque Garibaldi aveva scelto consapevolmente di rinunciare ad un incarico di grandissimo prestigio, foriero di una crescita enorme della sua fama, pur di mantenere fermo il punto ideale di netta contrarietà alla condizione schiavile. Ed è per questo che la fotografia di Lincoln insieme ai suoi generali, propostaci nella mostra, sembra ricordarci, emblematicamente, la possibilità che anche il nostro illustre generale avesse potuto figurare nello storico gruppo. Il percorso della mostra, dunque, ci offre uno sguardo d’insieme che consente di accostare immagini in nessun altro modo visibili come, ad esempio, le foto dei gruppi dei mille quasi tutte inedite, il tutto accompagnato da descrizioni che spesso rappresentano lo spunto per ulteriori approfondimenti.
Giovano, a questo riguardo, anche le medaglie esposte, tutte quelle coniate nel corso dell’epopea risorgimentale, che consentono di leggere in modo più preciso le stesse fotografie, perché ci permettono di ricostruire con assoluta certezza a quante e quali campagne militari parteciparono gli uomini ivi effigiati. Altro aspetto di sicuro interesse presente in questa ricca esposizione è la presenza dei materiali e degli strumenti utilizzati dai fotografi ottocenteschi che con la loro opera contribuirono a realizzare una sterminata massa di fonti iconografiche di sicuro valore per la ricerca, ma anche per gli appassionati di un periodo di rilevante significato per la nostra storia nazionale. La conoscenza di questi materiali, infatti, contribuisce anch’essa a rendere più leggibili e a dare un senso più pieno alle stesse fotografie.
Se la mostra ci presenta in modo nuovo la «realtà» dell’Eroe dei due Mondi, essa ci indica anche le piste da battere per studiare il dopo Garibaldi. Un aspetto, questo, che si giova di una sorta di mostra nella mostra, realizzata a cura di Annita Garibaldi, con i pannelli dedicati alla famiglia del Nizzardo. La pronipote di Giuseppe ha svolto, in questo senso, un lavoro di grande interesse che ha già fornito un primo supporto alla ripresa dello studio sugli eredi della famiglia Garibaldi5. Per riprendere rapidamente il discorso che abbiamo già accennato all’inizio di questa breve nota, infatti, l’indagine sull’atteggiamento degli esponenti della famiglia dell’Eroe dei due Mondi in alcuni dei momenti cruciali della nostra storia nazionale appare decisiva per comprendere come sia stato possibile che la «camicia rossa» abbia rappresentato una sorta di bandiera per fronti così contrapposti come il fascismo e l’antifascismo o, nell’Italia repubblicana, tra il moderatismo e i partiti di sinistra.
Certamente già alcuni contributi in questa direzione forniscono qualche indicazione. Ma appare urgente una ripresa sistematica di questi studi proprio ripartendo da un’analisi accurata sui temi più controversi dello stesso pensiero di Garibaldi per una più puntuale interpretazione delle motivazioni di alcuni approdi cui quel pensiero è giunto ad opera dei protagonisti del movimento garibaldino e dei suoi eredi. In ciò l’impegno di Annita Garibaldi nel ricostruire l’albero genealogico e le storie di una famiglia ormai sterminata e sparsa per tutto il Mondo, rappresenta un contributo decisivo per nuovi approfondimenti anche grazie ai materiali, compresi quelli più emblematici, messi in tal modo a disposizione degli studiosi.
Si può, quindi, concludere che la mostra “Garibaldi e i suoi tempi. Immagini dei protagonisti” qui presentata in catalogo ben si affianchi ad alcune delle migliori esposizioni che l’hanno preceduta nel fatidico 2007, anno del bicentenario della nascita dell’Eroe dei due Mondi.
Domenico Scacchi